Difficile non essere banali parlando del diritto di ogni creatura alla famiglia, alla salute, al gioco, all’istruzione. Ancora più difficile non esserlo nella Giornata Internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Quasi impossibile.
Non parleremo, dunque, dei diritti del minore, quanto dei doveri di chi ne ha la tutela. Dal genitore in primis, passando per gli educatori come i docenti e gli allenatori, per poi arrivare allo Stato e il suo potere legislativo. Che, più che potere, dovrebbe essere dovere.
Stato, educatore, famiglia sono i tre grandi soggetti cui il bambino può contare per la sua tutela. E la tutela non è solo riparativa, deve essere principalmente preventiva e formativa.
Formare il bambino e il ragazzo è l’arte più delicata e oggi sottovaluta. Educare -dal latino ex-ducere: tirare fuori- vuol dire far emergere le potenzialità e farle diventare forza, talento, unicità. Ma solo l’ascolto, l’osservazione e l’impegno possono rendere questa pratica efficace e sana. I ragazzi devono essere ascoltati e osservati con impegno affinché rendano possibile all’adulto un intervento sensato e funzionale.
Il XX Rapporto del Gruppo CRC ci dice che, in un momento di stravolgimento della loro quotidianità e socialità come quello attuale, i ragazzi non sono né ascoltati né tenuti in conto a livello legislativo. Le Istituzioni non li hanno tenuti in considerazione come soggetti portatori di diritti in un periodo di grandissima delicatezza e i tutori sono stati lasciati soli nel tentativo di conciliare necessità e problematiche quotidiane con il ruolo di genitore.
Cosa possiamo fare noi educatori –intesi come genitori, professori, animatori- nel nostro piccolo/grande? Se non abbiamo tempo in quantità, proviamo a darcene in termini di qualità. Nella qualità c’è l’attenzione al dettaglio: i silenzi, i gesti, gli sguardi, il respiro… i nostri ragazzi ci parlano molto più di quanto pensiamo. Ascoltiamoli in silenzio e agiamo con coraggio. Il coraggio del dovere di educare.