IL FASCINO DEL PROIBITO E IL VINCOLO DEL LECITO
di Ivano Zoppi
Presidente Pepita
Cosa succede sul web quando un argomento va in tendenza? Semplice, viene condiviso, commentato o fruito anche da chi inizialmente non ne era coinvolto o interessato. Un fenomeno emulativo, quasi impositivo, certamente esaltato dai social network, ma che poggia su un meccanismo psicologico ormai consolidato, benché rinnovato dal contesto digitale. Dall’Esorcista a Ultimo tango a Parigi, da Basic Instinct all’attuale “La scuola Cattolica”, il film sul massacro del Circeo vietato ai minori tra mille polemiche. Quante volte ci siamo recati al cinema solo perché quel titolo era sulla bocca di tutti? Al di là dei gusti personali, bisognava farsi un’opinione in vista di una discussione in ufficio, sul treno o, magari, in ascensore. Dinamiche che hanno poi trovato cittadinanza nel termine “virale”, che la società digitale ha coniato per quei contenuti “must”, ovvero la cui diffusione è talmente incontrollata da non poterli ignorare nemmeno a volerlo.
Quello che per noi adulti è un’iperbole, resta comunque una concessione volontaria, nello spirito di una socialità imposta, ma che ancora conserva dei limiti. Quando negli anni ’90 esplode la moda del bungee jumping non tutti si sono prestati a gettarsi nel vuoto da un cavalcavia, con una corda elastica legata alla caviglia.
Nei minori, invece, lo spirito critico è ancora fragile, a volte pressoché assente. Così se qualche assurda challenge diventa virale, su WhatsApp o sui social, ci saranno schiere di pre adolescenti pronti a bere alcool fino a svenire, ad inghiottire capsule di detersivo o a praticare autolesionismo. Allo stesso modo, anche le produzioni audiovisive vietate, se veicolate senza filtri dalle piattaforme digitali e dalle App, possono finire sotto la lente della Polizia postale, che provvede agli oscuramenti e apre le indagini del caso. Non si tratta di censura, ma di controllo. Una volta era affidato al famigerato bigliettaio; ultimo baluardo prima dell’ingresso alla sala cinematografica preposta alla pellicola tabù. C’era una sorta di “vincolo del lecito”, che la società imponeva a se stessa a tutela di bambini e adolescenti.
Da Bertolucci a Kubrick, da Almodovar a Tinto Brass; capolavori o meno, i minori dovevano aspettare. I più ardimentosi attendevano l’uscita dei VHS a noleggio, chiedendo ad amici o cugini compiacenti di duplicare l’anelato nastro. Almeno fino agli anni ’80, poi sono arrivati i DVD pirata e i primi file scambiati online con il 56K. Tutta roba da boomer, ma che ci riporta ad una ricerca del proibito faticosa, talvolta romantica, come quando i ragazzini si alzavano di nascosto a notte inoltrata, per poter l’indomani raccontare in classe di aver visto “Colpo grosso” (oggi equiparabile ad una réclame di bagnoschiuma), magari con un occhio aperto e uno chiuso dal sonno. Oggi non esistono buchi della serratura. Tutto è accessibile, senza neppure avere il tempo di desiderarlo, qualsiasi contenuto è a portata di click. Un consumismo di messaggi che trasferisce la velocità della Rete alla voracità del rapporto con l’intrattenimento. Consumare, per non perdere la moda del momento. Consumare per condividere l’ultimo fenomeno del web. Consumare per dire di conoscere i Maneskin senza averne ascoltato un disco. Perché non ci basta navigare, ma dobbiamo cavalcare l’onda dell’ultima tendenza. Senza capire dove ci porta, senza preoccuparci di cadere o di perderci. Senza soste, perché lo spettacolo deve continuare, con buona pace dei minori; tanto prima o poi diventano adulti e saranno finalmente “utenti consapevoli”.
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