Si è sentito spesso parlare di: fallimento nel passato, incapacità di costruire un futuro e disorientamento nel presente, e ora sembra tutto reale. Questa nuova realtà che stiamo affrontando, sta attaccando soprattutto i ragazzi.
In che modo il lockdown ha modificato la vita dei ragazzi?
Il primo lockdown è già stato un colpo molto pesante e Pepita si è impegnata per cercare di non far sentire solo nessuno. Ha interagito con gli adolescenti, ha voluto dar voce a una generazione. I nostri educatori si sono impegnati inizialmente a dar loro uno spazio virtuale per poi (finalmente) arrivare a uno spazio fisico durante l’estate. Siamo riusciti a lavorare in oltre 100 campi estivi mostrando l’importanza della condivisione, del divertimento e dell’accoglienza.
Quale risposta educativa dare a una generazione di giovani?
Abbiamo visto davvero poco lavoro di progettazione per una ripresa che potesse garantire ai nostri ragazzi di poter vivere il loro tempo: tanto impegno sulla logistica, ma pochissimo impegno sulle sfide educative.
Ci chiediamo che cosa sia stato fatto davvero per questi ragazzi, la cui realtà è stata totalmente ribaltata da un giorno all’altro.
Oggi si vive aspettando il prossimo decreto, in attesa dell’ennesima manifestazione per proteste provocando un sostanziale disorientamento.
La DAD, oggi come oggi, sta avendo sempre più importanza all’interno della vita dei nostri ragazzi: si svegliano, restano a casa e accendono il computer. Nessun contatto, nessuna parola, nessun sorriso.
Non esiste più l’intervallo, l’uscita da scuola tutti insieme: c’è solo una telecamera che li inquadra, che li scruta. L’unica speranza è che funzioni la connessione internet e non più la connessione con il compagno di banco.
Come possiamo essere un esempio per questi ragazzi se dopo mesi di agonia, siamo tornati a fallire e a far chiudere di nuovo gran parte delle imprese?
Sono stati costretti a diventare adulti troppo in fretta, ad affrontare un mondo digitale con troppe restrizioni per essere dei semplici bambini e/o adolescenti.
Pepita vuole lasciare un segno, vuol dare a questi ragazzi e agli insegnanti una “via d’uscita”, un aiuto: sostenere l’attività dei centri educativi (oratori, centri di aggregazione) favorendo, nel rispetto delle indicazioni sanitarie, l’incontro e la condivisione di spazi con la presenza di educatori preparati.In secondo luogo vuol prevedere l’impiego di équipes multidisciplinari (psicologi, educatori professionali) di prossimità territoriale per il supporto e il sostegno ai ragazzi in difficoltà.