di Ivano Zoppi
Presidente Pepita Onlus
“Come hai raccontato la guerra a tuo figlio?”
“Ma tua nipote sa cosa sono le bombe atomiche?”
“Io quando metto il telegiornale dico che stanno girando un film e che è tutto finto.”
La guerra sta colpendo il popolo ucraino, ma da quello che si ascolta, si sente in tv o si legge sui social, sembra che il conflitto sia arrivato anche in Italia.
Nel mondo dell’immagine e della comunicazione ognuno si sente in dovere di esprimere la propria opinione, soprattutto se non richiesta. Una sorta di sport nazionale, che spesso prescinde dalle conoscenze, dalle competenze e dalle opportunità.
Provare a cambiare le cose sarebbe come lottare contro i mulini a vento, ma quando si parla di bambini, val bene tentare l’impresa.
All’orrore della guerra c’è sempre un’alternativa, eppure l’urgenza di molti genitori sembra essere quella di raccontare, di rendere partecipi i propri figli, a prescindere dall’età e dalle diverse sensibilità.
Un’urgenza apparentemente immotivata, se non dall’esigenza di noi adulti di poterci informare, confrontare, misurare, finanche litigare, sull’ “argomento del momento” senza dover approntare quelle scomode attenzioni a tutela delle generazioni più giovani.
E allora via libera!
Alle polarizzazioni, al voyeurismo macabro, alle tribune politiche e alle zuffe geopolitiche che tanto ci appassionano. E i bambini?
Che siano stati edotti, o meno, dai rispettivi genitori, il risultato è spesso il medesimo: la guerra, come il mondo, appare come un complesso videogioco che scorre davanti ai loro occhi, magari dentro uno schermo, un monitor, un telefono.
E se proprio cominciano a sporgere degli effetti indesiderati, allora basta cambiare canale…
Come se voltarci dall’altra parte cambiasse qualcosa. Come se tutto fosse reale soltanto se lo stiamo osservando. Una presunzione assoluta e arrogante tipica del narcisismo educativo dei nostri tempi.
Il problema, infatti, non è se raccontare o no la guerra ai nostri figli, ma come i nostri figli si raccontano a noi. Qualsiasi comunicazione passa da un canale e quel canale non è altro che il dialogo, la relazione, il rapporto che abbiamo saputo costruire con i nostri figli.
Su questo presupposto poggiano tutti i contenuti, i sentimenti e le emozioni che si respirano in famiglia.
Saranno loro, le giovani generazioni, a mostrare interesse e a rivolgere le giuste domande per costruire nuove consapevolezze. L’importante è essere presenti, capaci di dare risposte concrete, vicine, vere.
Prima dell’angoscia della guerra, domandiamoci se abbiamo loro tramesso il valore della pace e l’importanza del rispetto.
Cominciamo da qui.